Quadra - Alternative Dispute Resolution

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Quadra opera dal 2003 come provider privato ADR (Alternative Dispute Resolution)
per la gestione e mediazione delle controversie e dei conflitti civili e commerciali

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e promuove la diffusione della cultura ADR svolgendo formazione di alto livello

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Perché la morte di George Floyd dovrebbe interessare un centro che si occupa di conflitti

Una certa iniziale riluttanza l'avevamo. Non ci occupiamo di politica (nel senso operativo del termine) e non rientra neppure fra i nostri obiettivi quello di contribuire ad una maggiore giustizia sociale.

Nonostante taluni pensino che i metodi ADR (e la mediazione, in particolare) possano avere questa funzione, noi pensiamo che così non sia, almeno in maniera diretta. Altre sono le sedi per affrontare questo genere di problemi.
Per contro, secondo altri, il ricorso agli strumenti ADR (ed alla mediazione in particolare) potrebbe invece andare a detrimento dell'avanzamento sociale, in quanto priva i soggetti 'deboli' della dovuta tutela giudiziaria e rischia di essere strumento funzionale al mantenimento dello status quo. Neppure tale impostazione ci convince: a nostro avviso infatti tanto - se non tutto - dipende da come il mediatore interviene.
Noi cerchiamo di praticare interventi che rispettino il principio di autodeterminazione dei soggetti interessati ad una situazione conflittuale. In tale prospettiva, il supporto e l'attenzione che le parti trovano nella gestione dei loro problemi, possono senz'altro contribuire al miglioramento della qualità del dialogo e ciò è indubitabilmente una componente importante per un utile confronto, anche su temi 'politici'. Bush e Folger hanno affrontato questo tema in un interessante articolo uscito sull'Ohio Journal qualche anno fa ("Mediation and Social Justice: Risks and Opportunities", vol. 27:1 2012).
Ma veniamo a George Floyd. Pensiamo che pochi possano non condividere il senso di orrore e smarrimento che una morte così assurda ha provocato. Quando i nostri amici americani dell'ISCT (la casa-madre della mediazione trasformativa) hanno ritenuto fosse giunto il momento di prendere una chiara posizione contro il razzismo di cui sono vittime le persone di colore negli Stati Uniti, la nostra prima reazione è stata quella di pensare che era un problema tutto sommato loro, che poco c'entrava con la mediazione e che il razzismo è solo uno dei tanti problemi che la società deve affrontare (ed un centro di mediazione non può certo farsene carico - a pena di diventare, magari, un partito politico).
Abbiamo cambiato idea, però quando è stato messo a punto lo statement che potete scaricare qui sotto. A parte il sacrosanto grido di dolore e allerta, che come esseri umani non possiamo che condividere appieno (e la considerazione che tutto sommato non si tratta di un problema ignoto anche dalle nostre parti...), ci ha colpito il passaggio relativo ai pregiudizi che - da mediatori - possiamo portare inavvertitamente con noi, tutte le volte in cui interveniamo in situazioni conflittuali; e la necessità di esserne consapevoli ed evitare di riprodurre discriminazioni ed esclusioni.
Buona lettura e se siete d'accordo, fatecelo sapere.

A statement from the Board and Fellows of the Institute