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20-10-15

Non è che stiamo esagerando?? Sull'ordinanza 23-6-15 del Tr. di Vasto relativamente alla scelta dell'organismo.

Un giudice istruttore del tribunale di Vasto nel'estate scorsa considerate "le condizioni di estrema congestione in cui versa il proprio ruolo istruttorio e decisorio" ed il fatto che "la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti rendono particolarmente adeguato il ricorso a soluzioni amichevoli della medesima" invita le parti ad esperire una mediazione.

Sin qui nulla di male, anzi - penseranno gli estimatori della mediazione - così delusi dallo scarso ricorso alla stessa, in via 'delegata' che i giudici italiani hanno mostrato in questi anni di fare.

Il problema è che il nostro giudice va oltre e mostra di avere della mediazione un'idea che francamente dà i brividi. Per il nostro, infatti è "opportuno che, nella scelta dell’organismo di mediazione, le parti si rivolgano ad enti il cui regolamento non contenga clausole limitative del potere, riconosciuto al mediatore dall’art. 11, secondo comma, del D. Lgs. n. 28/10, di formulare una proposta di conciliazione quando l’accordo amichevole tra le parti non è raggiunto, in particolare restringendo detta facoltà del mediatore al solo caso in cui tutte le parti gliene facciano concorde richiesta".

Letto bene?

Seppelliamo tutte le riserve fatte all'epoca in tema di 'proposta', dimentichiamo ogni approccio facilitativo (e figuriamoci, ancor di più, trasformativo). Cinquant'anni di dibattiti sulla mediazione vengono spazzati via, perché "tali previsioni regolamentari frustrano lo spirito della norma – che è quello di stimolare le parti al raggiungimento di un accordo".

Che una visione meramente efficientista della mediazione abbia il suo spazio ed i suoi difensori, nessuno lo nega, ma raramente l'ho vista proposta in termini così assoluti. D'altronde il decreto 28 nella sua forma attuale, come pure ancor più colpevolmente il d.m. 180, dà legittimità a tali interpretazioni.

Per il nostro, poi, l'art. 2 della l. 89/2001 (come modificato dal d.l. 83/2012) ha confermato "la tendenza del legislatore ad introdurre nell’ordinamento meccanismi dissuasivi di comportamenti processuali ostinatamente protesi alla coltivazione della soluzione giudiziale della controversia, la cui individuazione – però – presuppone necessariamente la previa formulazione (o, comunque, la libera formulabilità) di una proposta conciliativa da parte del mediatore ed il suo raffronto ex post con il provvedimento giudiziale di definizione della lite". 

Coerenti le disposizioni ancillari dell'ukase: si invita infatti "il mediatore a verbalizzare i motivi eventualmente addotti dalle parti assenti per giustificare la propria mancata comparizione personale, precisando che ogni documentazione a tal fine rilevante dovrà essere prodotta in giudizio dalla parte costituita entro la prossima udienza, allo scopo di consentire al giudice un’adeguata valutazione in vista delle determinazioni da assumere in caso di assenza ingiustificata delle parti al procedimento di mediazione" e si prescrive "che - in caso di effettivo svolgimento della mediazione che non si concludi con il raggiungimento di un accordo amichevole - il mediatore provveda comunque alla formulazione di una proposta di conciliazione, anche in assenza di una concorde richiesta delle parti".

V. conf. Tr. Siracusa, ord. 23-1-15 e ord. 17-1-15.

 

A me il tutto crea grande ansia.

Da mediatore, in primis. Ma anche da avvocato, per l'intollerabile compressione del principio di autodeterminazione in mediazione ed il tradimento della funzione ultima che sino a prova contraria dovrebbe giudare l'azione del giudicante: dare giustizia a chi la chiede.

 

Carlo Mosca

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