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31-7-2018

Proposta del mediatore: quando i tribunali entrano a gamba tesa (C. App. Napoli, ord. 1-6-18)

Come noto, la "proposta" è delle modalità di intervento del mediatore nel conflitto, previste nel decreto 28/2010, che più ha fatto discutere.

Essa rappresenta infatti una modalità pesantemente direttiva, più consona a procedimenti para-arbitrali che di mediazione. Formulando una proposta di soluzione della lite, infatti, il mediatore offre alle parti (o meglio impone o quanto meno pesantemente mette sul tavolo - viste le conseguenze stabilite per la mancata accettazione) la SUA soluzione, con ciò nullificando il principio di autodeterminazione che dovrebbe essere il principio-guida, condiviso almeno a parole un po' da tutti gli operatori del settore.

Il decreto 28, all'art. 11(1) prevede che "Quando l'accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione. In ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento".

Nei fatti si tratta di una possibilità scarsamente usata, perché i mediatori - indipendentemente dalla loro formazione e dal loro orientamente - si rendono spesso conto che da un lato non hanno gli elementi per formulare una corretta ipotesi di soluzione, dall'altro che ciò equivale a spogliare del parti del controllo sulla situazione e quindi forzare lo spirito dell'intero procedimento.

Comprensibilmente alcuni giudici non hanno alcuna di queste preoccupazioni. Esempio ne è una recente ordinanza della C. Appello di Napoli adottata il 1-6-18 nel procedimento RG 7125/17. Secondo la Corte, che ha mandato in mediazione le parti in una causa di risarcimento di danni causati da omessa manutenzione di un rete fognaria (il Comune e dei privati), il mediatore pare tenuto COMUNQUE a formulare una usa proposta. Quindi anche in assenza di richiesta concorde di tutti gli interessati.

La ratio? La finalità essenzialmente deflattiva attribuita alla mediazione.

A parere di Quadra, sono questi i danni derivanti da una miope regolamentazione della mediazione, come risultate dal decreto 28/2010.

 

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