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Elspeet (NL), 12 giugno 2015

Master class di Joe Folger e Janet Müller alla conferenza organizzata dalla fondazione olandese Het Transformatieve Model

Il 12 e 13 giugno scorso si è tenuta un'interessante conferenza organizzata in Olanda dall'organizzazione che localmente promuove la mediazione secondo il metodo trasformativo (Stichting Het Transformatieve Model).

Il posto scelto per ospitare l'incontro era un centro congressi (Mennorode) nel cuore di un parco naturale, in un'area ad un'ora di treno da Amsterdam.

La prima giornata è stata particolarmente interessante in quanto è stato offerto ai partecipanti una master class tenuta da Joe Folger e Janet Müller dal titolo "Transformative Practice, Personal Lives: What Does Relational Theory Do To Us and For Us?" (che grosso modo potrebbe esser reso con "Pratica trasformativa ed esperienza personale: l'impatto della teoria relazionale").

Joe Folger è come sappiamo uno dei fondatori della teoria trasformativa del conflitto. Professore alla Temple University di Philadelphia ed esperto in comunicazione, ha tenuto a ricordare come le sue intuizioni sulla mediazione siano derivate prima di tutto dall'esperienza pratica, realizzata negli anni della gioventù come mediatore 'comunitario'. Janet lavora in un centro di mediazione a Dayton, Ohio, che da qualche mese ospita l'Istituto per lo Studio della Trasformazione del Conflitto, il think tank che riunisce i maggiori studiosi e pratici del modello trasfromativo.

Il seminario di Joe e Janet si è focalizzato sulla teoria relazionale, che costituisce uno dei presupposti terorici fondamentali della teoria trasformativa del conflitto. L'assunto è che qualsiasi individuo, pur dovendo salvaguardare i propri interessi, debba necessariamente relazionarsi ai suoi simili e considerare anche i loro interessi. Questa dualità rende inadeguata un'analisi delle dinamiche sociali, soprattutto in contesti conflittuali, che riservi attenzione solo agli interessi propri dei soggetti coinvolti (teoria individualistica). Ciò porta a vedere il conflitto non tanto in termini di confronto fra interessi (individuali) contrapposti, ma piuttosto come confronto fra soggetti che al loro interno hanno dinamiche complessi e tendenzialmente contrastanti (il bisogno di autoaffermazione e quello di relazionarsi positivamente con il mondo esterno, il che - nel linguaggio trasformativo - viene reso, rispettivamente, dai termini empowerment e recognition).

Uno degli aspetti dibattiti nella giornata è stato quello relativo ai presupposti 'etici' che guidano le azioni dei soggetti in conflitto, il loro 'moral grounding' e ne è stata evidenziata l'utilità in quanto fattore necessario per poter disporre di quella 'forza compassionevole' che permette di affrontare un conflitto serenamente, non scendendo a compromessi 'moralmente' inaccettabili con noi stessi ma dando dignità alle posizioni altrui, per quanto diverse siano dalle nostre.

I relatori hanno ricordato come la questione fosse già centrale all'epoca della prima edizione della Promise of Mediation (1994), come sia stata poi lasciata relativamente in disparte nella seconda edizione (2005) e come recentemente sia tornata centrale nell'ambito del programma di ricerca focalizzato dalla gestione personale del conflitto (self-managed conflict).