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09 marzo 2006

Mediazione e giudizio

Rispetto ai procedimenti giudiziari (avanti giudice o arbitro) la mediazione si distingue nettamente per il fatto che il mediatore non ha il potere/dovere (che l’arbitro o il giudice ha) di risolvere autoritativamente la causa, con decisione vincolante per le parti.
Ciò comporta una netta differenza di “clima” generale: in mediazione (diversamente che in giudizio) l’attenzione viene posta più sulle possibili soluzioni ad un problema che sull’accertamento di quanto avvenuto con conseguente attribuzione di responsabilità; la procedura è libera ed informale; le parti sono sollecitate ad adottare un atteggiamento più collaborativo che di contrapposizione; l’esito finale può essere ben diverso dalle posizioni inizialmente assunte; il controllo sull’esito del procedimento è saldamente nelle mani delle parti.
Se l’attività giurisdizionale è funzionale alla tutela dei diritti, la mediazione lo è alla gestione dei conflitti. Tale differenza è stata da tempo colta dalla dottrina più attenta (ad es. Cappelletti 1981, 57), anche se nei fatti non si può dire che sia divenuta un’idea-guida.
Quanto sopra vale naturalmente anche con riferimento al c.d. arbitrato libero o irrituale, nella sua forma tipica (cioè di sostanziale giudizio), che come noto solo per acrobazia interpretativa viene differenziato da quello rituale e fittiziamente qualificato come forma di composizione contrattuale di una lite. Proclama così la Suprema Corte nella seguente pronuncia:

La clausola, con la quale le parti conferiscano ad un terzo il solo incarico di esperire un tentativo di conciliazione, per le eventuali controversie che insorgano sull’interpretazione ed esecuzione di un determinato contratto, non implica rinuncia alla tutela giurisdizionale, come nel diverso caso del compromesso per arbitrato irrituale (in cui il terzo ha il compito di definire la contesa in via transattivi con effetto vincolante per i contraenti) con la conseguenza che il mancato esperimento del suddetto tentativo non è di ostacolo alla proponibilità e procedibilità dell’azione giudiziaria

(Cass. 3.12.87, n. 8983, in RGI7.)

anche se forse tanta ovvietà non è scontata se vi è – potenza della fascinazione processualista - chi identifica addirittura la peculiarità delle clausole di mediazione rispetto a quelle arbitrali nel fatto che le prima stabiliscono solo un temporaneo pactum de non petendo, invece di una stabile deroga, cosicché si arriva a paragonare contesti incomparabili:


la clausola di conciliazione all’apparenza si presenta come un quod minus rispetto alla clausola compromissoria (Curti 2000, 1041).

Simile difetto è riscontrabile in chi mette su uno stesso impossibile piano il processo logico alla base del comportamenti di arbitri e di mediatore.
Ecco, dunque, che merge la differenza fondamentale tra arbitrato e conciliazione: nell’arbitrato l’incarico delle parti agli arbitri e il loro autocomando, precede il consilium e il decisum, nella conciliazione il consilium precede l’atto di autonomia delle parti, quel loro autocomando indispensabile per perfezionare la conciliazione (Punzi 1992, 1033). La mediazione spesso viene considerata una possibile modalità da adottare, sia pur collateralmente all’interno dello stesso procedimento arbitrale. Non è raro che gli arbitri ritengano opportuno tentare di conciliare le parti prima di procedere nel giudizio. Ciò avviene anche in procedimenti arbitrali ‘puri’ e non solo in procedure che sono strutturalmente prevedono sia una fase di mediazione che una d’arbitrato. Il fenomeno viene generalmente considerato negativo nelle culture occidentali; è per contro considerato normale e vantaggioso in culture più sensibili alle esigenze generali di una riconciliazione delle parti piuttosto che all’affermazione dei loro diritti individuali, come quelle influenzate dal Confucianesimo.
Pare a chi scrive che la mediazione effettuata da un arbitro sia comunque da evitare per la pericolosa confusione dei ruoli del terzo neutrale che genera. L’esperimento della mediazione rischierebbe di mettere a rischio di nullità il lodo perché molte delle tecniche utilizzate dal mediare (gli incontri individuali coperti da confidenzialità, in particolare) sono incompatibili con il rispetto del principio del contraddittorio ed i diritti di difesa delle parti che informano un procedimento arbitrale. Per contro il mediatore che fosse possibile futuro arbitro non risulterebbe credibile alle parti e potrebbe difficilmente ottenere informazioni confidenziali utili.


Carlo Mosca


Tratto da "Arbitrato e sistemi alternativi di risoluzione delle controversie" - UTET, su gentile concessione dell'autore)