Quadra - Alternative Dispute Resolution

My Quadra carrello Scopri i costi di una procedura

Quadra opera dal 2003 come provider privato ADR (Alternative Dispute Resolution)
per la gestione e mediazione delle controversie e dei conflitti civili e commerciali

Quadra amministra procedure di mediazione, arbitrato ed expertise
e promuove la diffusione della cultura ADR svolgendo formazione di alto livello

13 ottobre 2021

Novità legislative in tema di ADR (la riforma Cartabia è in esame alla Camera)

E così la riforma “Cartabia” (dal nome della ministra della Giustizia pro tempore) sulla giustizia civile è passata in Senato (disegno di legge AS1662) il 21 settembre 2021.

L’approvazione anche alla Camera (disegno di legge AC3289) non dovrebbe riservare sorprese e quindi fose si può dare la cosa per fatta.

Di che si tratta?

(PS chi preferisce un video al posto di leggere vada qui).

Presto detto. Si tratta dell’ennesimo tentativo di ovviare alle disfunzioni del nostro sistema. Esigenza non più procrastinabile ora, visti gli impegni assunti con il PNRR. Disegno ampio perché mira – nei 44 punti nei quali è ripartito l’unico articolo costituente l’emanando provvedimento – ad incidere in vari settori: dal giudizio di cognizione di primo grado, all’appello, al giudizio di cassazione, … sino alle ADR (il che a noi qui particolarmente interessa).

Il meccanismo è quello della legge-delega, quindi per conoscere in dettaglio i provvedimenti occorrerà attendere l’implementazione da parte del Governo dei principi oggi fissati. Per questa è previsto il termine di un anno dalla data di entrata in vigore del provvedimento. Gli schemi dei vari decreti legislativi delegati (è probabile ve ne sia infatti più d’uno, ma non è detto) dovranno adottati su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione.

L’analisi dei principi generali oggi posti, comunque ci permette di fare qualche previsione quanto all’impatto che il provvedimento avrà.
Ci concentriamo sulla sola parte relativa alle ADR (nella cui categoria è dubbio rientri o meno l’arbitrato) visto che è materia di nostro immediato interesse.

Per quanto riguarda le riforme al codice di procedura civile (quindi alla gestione dei conflitti nella tradizionale sede giudiziale) rinviamo ad altra sede, anche se ci pare ragionevole sgombrare il campo subito da grandi illusioni. Al di là delle roboanti premesse di palingenesi, pare infatti difficile che anche questa riforma possa sfuggire alla sorte delle precedenti. Qualche effetto ovviamente si verificherà, ma sarà – temiamo la solita poca cosa, visto che ancora una volta si è preferito intervenire chirurgicamente su qualche norma e introdurre qualche innovazione organizzativa (anche apprezzabile, come l’Ufficio per il processo), senza apparentemente porsi le domande di fondo (e dare le conseguenti risposte adeguate): come possiamo fare in modo che il giudizio di primo grado venga completato nel giro di 6/8 mesi, mantenendo alta la qualità della decisione? È proprio necessario sempre un secondo grado? Il giudizio di Cassazione risponde realmente alle esigenze del sistema?

Veniamo alle ADR.
Il disegno di legge ne parla ai §§ 4 e 15.

Cominciamo a vedere il secondo (§5) che è dedicato all’arbitrato.
Al riguardo sono stabilite le seguenti 8 linee di intervento:

a) rafforzare le garanzie di imparzialità e indipendenza dell’arbitro, reintroducendo la facoltà di ricusazione per gravi ragioni di convenienza nonché prevedendo l’obbligo di rilasciare, al momento dell’accettazione della nomina, una dichiarazione che contenga tutte le circostanze di fatto rilevanti ai fini delle sopra richiamate garanzie, prevedendo l’invalidità dell’accettazione nel caso di omessa dichiarazione, nonché in particolare la decadenza nel caso in cui, al momento dell’accettazione della nomina, l’arbitro abbia omesso di dichiarare le circostanze che, ai sensi dell’articolo 815 del codice di procedura civile, possono essere fatte valere come motivi di ricusazione;
b) prevedere in modo esplicito l’esecutività del decreto con il quale il presidente della corte d’appello dichiara l’efficacia del lodo straniero con contenuto di condanna;
c) prevedere l’attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari nell’ipotesi di espressa volontà delle parti in tal senso, manifestata nella convenzione di arbitrato o in atto scritto successivo, salva diversa disposizione di legge; mantenere per tali ipotesi in capo al giudice ordinario il potere cautelare nei soli casi di domanda anteriore all’accettazione degli arbitri; disciplinare il reclamo cautelare davanti al giudice ordinario per i motivi di cui all’articolo 829, primo comma, del codice di procedura civile e per contrarietà all’ordine pubblico; disciplinare le modalità di attuazione della misura cautelare sempre sotto il controllo del giudice ordinario;
d) prevedere, nel caso di decisione secondo diritto, il potere delle parti di indicazione e scelta della legge applicabile;
e) ridurre a sei mesi il termine di cui all’articolo 828, secondo comma, del codice di procedura civile per la proposizione dell’impugnazione per nullità del lodo rituale, equiparandolo al termine di cui all’articolo 327, primo comma, del codice di procedura civile;
f) prevedere, nella prospettiva di riordino organico della materia e di semplificazione della normativa di riferimento, l’inserimento nel codice di procedura civile delle norme relative all’arbitrato societario e la conseguente abrogazione del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5; prevedere altresì la reclamabilità dell’ordinanza di cui all’articolo 35, comma 5, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, che decide sulla richiesta di sospensione della delibera;
g) disciplinare la translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario e tra giudizio ordinario e giudizio arbitrale;
h) prevedere che, in tutti i casi, le nomine degli arbitri da parte dell’autorità giudiziaria siano improntate a criteri che assicurino trasparenza, rotazione ed efficienza.

Si tratta, nel complesso, di misure di opportuno adeguamento alle migliori pratiche seguite nel settore. Dal nostro punto di vista, nulla da obiettare, anzi.
La riforma, piuttosto, non tocca alcuni punti che a nostro avviso sarebbe stato utile ripensare o regolare ex novo, segnatamente in tema di:
• c.d. arbitrato ‘irrituale’ (che francamente avremmo voluto cancellato una volta per tutte come categoria logica);
• ipotesi di coinvolgimento di terzi e connessione fra procedimenti arbitrali;
• maggiore blindatura del lodo in ipotesi di azione di nullità;
• validità di clausole contenute in condizioni generali di contratto (perché è stato mai abrogato nel 2006 l’art. 833?!);
• tassazione degli atti.
Insomma, uno sguardo in più alla normativa francese o a quella svizzera non avrebbe guastato.


E veniamo a quanto previsto al §15 in tema di ADR.
Qui le linee di intervento sono ben 19 e cioé:

a) riordinare e semplificare la disciplina degli incentivi fiscali relativi alle procedure stragiudiziali di risoluzione delle controversie prevedendo: l’incremento della misura dell’esenzione dall’imposta di registro di cui all’articolo 17, comma 3, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28; la semplificazione della procedura prevista per la determinazione del credito d’imposta di cui all’articolo 20 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, e il riconoscimento di un credito d’imposta commisurato al compenso dell’avvocato che assiste la parte nella procedura di mediazione, nei limiti previsti dai parametri professionali; l’ulteriore riconoscimento di un credito d’imposta commisurato al contributo unificato versato dalle parti nel giudizio che risulti estinto a seguito della conclusione dell’accordo di mediazione; l’estensione del patrocinio a spese dello Stato alle procedure di mediazione e di negoziazione assistita; la previsione di un credito d’imposta in favore degli organismi di mediazione commisurato all’indennità non esigibile dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato; la riforma delle spese di avvio della procedura di mediazione e delle indennità spettanti agli organismi di mediazione; un monitoraggio del rispetto del limite di spesa destinato alle misure previste che, al verificarsi di eventuali scostamenti rispetto al predetto limite di spesa, preveda il corrispondente aumento del contributo unificato;
b) eccezion fatta per l’arbitrato, armonizzare, all’esito del monitoraggio che dovrà essere effettuato sull’area di applicazione della mediazione obbligatoria, la normativa in materia di procedure stragiudiziali di risoluzione delle controversie previste dalla legge e, allo scopo, raccogliere tutte le discipline in un testo unico degli strumenti complementari alla giurisdizione (TUSC), anche con opportuna valorizzazione delle singole competenze in ragione delle materie nelle quali dette procedure possono intervenire;
c) estendere il ricorso obbligatorio alla mediazione, in via preventiva, in materia di contratti di associazione in partecipazione, di consorzio, di franchising, di opera, di rete, di somministrazione, di società di persone e di subfornitura, fermo restando il ricorso alle procedure di risoluzione alternativa delle controversie previsto da leggi speciali e fermo restando che, quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, le parti devono essere necessariamente assistite da un difensore e la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo e che, in ogni caso, lo svolgimento della mediazione non preclude la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale. In conseguenza di questa estensione rivedere la formulazione del comma 1-bis dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28. Prevedere, altresì, che decorsi cinque anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo che estende la mediazione come condizione di procedibilità si proceda a una verifica, alla luce delle risultanze statistiche, dell’opportunità della permanenza della procedura di mediazione come condizione di procedibilità;
d) individuare, in caso di mediazione obbligatoria nei procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo, la parte che deve presentare la domanda di mediazione, nonché definire il regime del decreto ingiuntivo laddove la parte obbligata non abbia soddisfatto la condizione di procedibilità;
e) riordinare le disposizioni concernenti lo svolgimento della procedura di mediazione nel senso di favorire la partecipazione personale delle parti, nonché l’effettivo confronto sulle questioni controverse, regolando le conseguenze della mancata partecipazione;
f) prevedere la possibilità per le parti del procedimento di mediazione di delegare, in presenza di giustificati motivi, un proprio rappresentante a conoscenza dei fatti e munito dei poteri necessari per la soluzione della controversia e prevedere che le persone giuridiche e gli enti partecipano al procedimento di mediazione avvalendosi di rappresentanti o delegati a conoscenza dei fatti e muniti dei poteri necessari per la soluzione della controversia;
g) prevedere per i rappresentanti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che la conciliazione nel procedimento di mediazione ovvero in sede giudiziale non dà luogo a responsabilità contabile, salvo il caso in cui sussista dolo o colpa grave, consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti;
h) prevedere che l’amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi, e prevedere che l’accordo di conciliazione riportato nel verbale o la proposta del mediatore sono sottoposti all’approvazione dell’assemblea condominiale che delibera con le maggioranze previste dall’articolo 1136 del codice civile e che, in caso di mancata approvazione, la conciliazione si intende non conclusa o la proposta del mediatore non approvata;
i) prevedere, quando il mediatore procede ai sensi dell’articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, la possibilità per le parti di stabilire, al momento della nomina dell’esperto, che la sua relazione possa essere prodotta in giudizio e liberamente valutata dal giudice;
l) procedere alla revisione della disciplina sulla formazione e sull’aggiornamento dei mediatori, aumentando la durata della stessa, e dei criteri di idoneità per l’accreditamento dei formatori teorici e pratici, prevedendo che coloro che non abbiano conseguito una laurea nelle discipline giuridiche possano essere abilitati a svolgere l’attività di mediatore dopo aver conseguito un’adeguata formazione tramite specifici percorsi di approfondimento giuridico, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica;
m) potenziare i requisiti di qualità e trasparenza del procedimento di mediazione, anche riformando i criteri indicatori dei requisiti di serietà ed efficienza degli enti pubblici o privati per l’abilitazione a costituire gli organismi di mediazione di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, e le modalità della loro documentazione per l’iscrizione nel registro previsto dalla medesima norma;
n) riformare e razionalizzare i criteri di valutazione dell’idoneità del responsabile dell’organismo di mediazione, nonché degli obblighi del responsabile dell’organismo di mediazione e del responsabile scientifico dell’ente di formazione;
o) valorizzare e incentivare la mediazione demandata dal giudice, di cui all’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, in un regime di collaborazione necessaria fra gli uffici giudiziari, le università, nel rispetto della loro autonomia, l’avvocatura, gli organismi di mediazione, gli enti e le associazioni professionali e di categoria sul territorio, che consegua stabilmente la formazione degli operatori, il monitoraggio delle esperienze e la tracciabilità dei provvedimenti giudiziali che demandano le parti alla mediazione. Agli stessi fini prevedere l’istituzione di percorsi di formazione in mediazione per i magistrati e la valorizzazione di detta formazione e dei contenziosi definiti a seguito di mediazione o comunque mediante accordi conciliativi, al fine della valutazione della carriera dei magistrati stessi;
p) prevedere che le procedure di mediazione e di negoziazione assistita possano essere svolte, su accordo delle parti, con modalità telematiche e che gli incontri possano svolgersi con collegamenti da remoto;
q) prevedere, per le controversie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, fermo restando quanto disposto dall’articolo 412-ter del medesimo codice, senza che ciò costituisca condizione di procedibilità dell’azione, la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita, a condizione che ciascuna parte sia assistita dal proprio avvocato, nonché, ove le parti lo ritengano, anche dai rispettivi consulenti del lavoro, e prevedere altresì che al relativo accordo sia assicurato il regime di stabilità protetta di cui all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile;
r) semplificare la procedura di negoziazione assistita, anche prevedendo che, salvo diverse intese tra le parti, sia utilizzato un modello di convenzione elaborato dal Consiglio nazionale forense;
s) prevedere, nell’ambito della procedura di negoziazione assistita, quando la convenzione di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, la prevede espressamente, la possibilità di svolgere, nel rispetto del principio del contraddittorio e con la necessaria partecipazione di tutti gli avvocati che assistono le parti coinvolte, attività istruttoria, denominata « attività di istruzione stragiudiziale », consistente nell’acquisizione di dichiarazioni da parte di terzi su fatti rilevanti in relazione all’oggetto della controversia e nella richiesta alla controparte di dichiarare per iscritto, ai fini di cui all’articolo 2735 del codice civile, la verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte richiedente;
t) prevedere, nell’ambito della disciplina dell’attività di istruzione stragiudiziale, in particolare:
1) garanzie per le parti e i terzi, anche per ciò che concerne le modalità di verbalizzazione delle dichiarazioni, compresa la possibilità per i terzi di non rendere le dichiarazioni, prevedendo in tal caso misure volte ad anticipare l’intervento del giudice al fine della loro acquisizione;
2) sanzioni penali per chi rende dichiarazioni false e conseguenze processuali per la parte che si sottrae all’interrogatorio, in particolar modo consentendo al giudice di tener conto della condotta ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 e 642, secondo comma, del codice di procedura civile;
3) l’utilizzabilità delle prove raccolte nell’ambito dell’attività di istruzione stragiudiziale nel successivo giudizio avente ad oggetto l’accertamento degli stessi fatti e iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della procedura di negoziazione assistita, fatta salva la possibilità per il giudice di disporne la rinnovazione, apportando le necessarie modifiche al codice di procedura civile;
4) che il compimento di abusi nell’attività di acquisizione delle dichiarazioni costituisca per l’avvocato grave illecito disciplinare, indipendentemente dalla responsabilità prevista da altre norme;
u) apportare modifiche all’articolo 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162: prevedendo espressamente che, fermo il principio di cui al comma 3 del medesimo articolo 6, gli accordi raggiunti a seguito di negoziazione assistita possano contenere anche patti di trasferimenti immobiliari con effetti obbligatori; disponendo che nella convenzione di negoziazione assistita il giudizio di congruità previsto dall’articolo 5, ottavo comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sia effettuato dai difensori con la certificazione dell’accordo delle parti; adeguando le disposizioni vigenti quanto alle modalità di trasmissione dell’accordo; prevedendo che gli accordi muniti di nulla osta o di autorizzazione siano conservati, in originale, in apposito archivio tenuto presso i Consigli dell’ordine degli avvocati di cui all’articolo 11 del citato decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, che rilasciano copia autentica dell’accordo alle parti, ai difensori che hanno sottoscritto l’accordo e ai terzi interessati al contenuto patrimoniale dell’accordo stesso; prevedendo l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria a carico dei difensori che violino l’obbligo di trasmissione degli originali ai Consigli dell’ordine degli avvocati, analoga a quella prevista dal comma 4 dell’articolo 6 del citato decreto-legge n. 132 del 2014.

Premessa: quello che il legislatore ha in mente NON è una regolamentazione del variegato mondo delle c.d. ADR (procedure, approcci, metodi di gestione del conflitto – l’arbitrato teniamolo a parte - che non consistono nel tradizionale ricorso al giudice) in sé.
Quello che il legislatore ha in mente è una regolamentazione delle ADR in quanto “complementari al giudizio”. Illuminante quanto in lettera b) a proposito dell’emanando TUSC, ma tale indirizzo emerge evidente in ogni passaggio.
Ed in ciò, per noi sta il primo motivo di critica. Una così marcata focalizzazione da un lato, infatti, (i) da un lato, impedisce un’opportuna valutazione dell’intero fenomeno ADR e l’identificazione dei profili (per noi assai pochi) sui quali era opportuno un intervento pubblico; dall’altro (b), accentua i pericoli di un’ipernormazione e dannosa burocratizzazione dei procedimenti oggetto di intervento.

La narrativa dominante è questa riforma Cartabia sia ‘buona’ – in particolare nei confronti della mediazione - perché ha cambiato di segno il disfavore chiaramente mostrato del precedente ministro Bonafede. Ci permettiamo di dissentire da questa lettura: la mediazione non è ‘buona’ di per sé, ma è buona se e in quanto soddisfa i bisogni dei diretti interessati che vi ricorrono. E questi bisogni consistono, in essenza, nell’avere uno spazio ed un tempo nei quali i soggetti coinvolti possono gestire in proprio i conflitti in cui si trovano, autodeterminandone, nella misura del possibile, dinamiche ed esiti. Il contrario ciò di quanto avviene quando invece si rimette ad un terzo (sia un giudice o un arbitro o altra figura d’autorità) la valutazione di come stiano le cose e la decisione su come occorre andare avanti.

Ora - e spiace che pochi lo evidenzino – una mediazione ‘complementare al giudizio’ (ma il discorso potrebbe facilmente essere allargato a qualsiasi altra forma ADR, come expertise, arbitrato non vincolante, …) può anche risultare utile, talora, al soddisfacimento di detti bisogni, ma il suo principale obiettivo è tutt’altro: quello di soddisfarne l’esigenza del sistema pubblico dei servizi di giustizia, in termini di riduzione del numero dei casi da gestire (filtro all’ingresso e smaltimento cause in essere). Se questo è l’interesse preponderante (e che il ricorso alle ADR in effetti funzioni, è tutto da vedere …) gli interessi degli interessati possono facilmente essere sacrificati.

Ad esempio, quando si parla di incentivare il ricorso alla mediazione prevedendo che le parti debbono presenziare personalmente ad un incontro con il mediatore incaricato (v. sopra alle lett. e) ed f), a qualcuno è venuto in mente che esse potrebbero aver fondate ragioni per non voler affatto vedersi e che una forzatura in tal senso va contro il principio della loro libera autodeterminazione su come gestire le cose? Si potrebbe obiettare che l’incontro di persona favorisce il fatto che una mediazione effettivamente si tenga. Ma questo è obiettivo del Sistema, non delle parti interessate, assunto apoditticamente come loro vantaggio (con l’evidente retropensiero che le parti, come i bambini, debbano trangugiare lo sciroppo, per quanto disgustoso, perché fa loro tanto bene).
Idem per la c.d. mediazione demandata (lett. o).

La lettura di tutti i principi-guida sulla quale la normativa delle citate ADR “complementari al giudizio” verrà modellata nei prossimi mesi renderà al lettore l’idea di come tale impostazione sia centrale e dominante.

Solo un altro paio di osservazioni a complemento.

La profilazione del neutral (come in particolare il mediatore) che il legislatore ha in testa si allontana da quella – affermata sia in Italia e che altrove – di professionista esperto nella gestione dell’interazione conflittuale, per avvicinarsi invece (pericolosamente, a nostro avviso) a quella di esperto nella materia oggetto di conflitto (esemplare il passaggio nelle ultime righe della lett. b) quando si parla di “singole competenze in ragione delle materie”). La distinzione è notevole: se il primo svolge il suo lavoro focalizzandosi sull’aiuto alle parti in confronto indipendentemente da quanto costituisce oggetto di discussione/scontro, e quindi lavorando soprattutto sulle dinamiche conflittuali, il secondo si pone inevitabilmente come figura d’autorità per quanto concerne il merito. Il principio risulta il punto di arrivo terminale di un processo di involuzione avviato con l’avventata previsione degli avvocati come “mediatori di diritto”. Intendiamoci, non è che questo non possa darsi, ma va bene per una particolare tipologia di intervento di terzo, quella conosciuta come mediazione valutativa o arbitrato non vincolante. Non certo per la mediazione in genere.
Perché solo questo genere di approccio sia funzionale poi agli obiettivi, pur limitati come s’è detto, del legislatore, resta inspiegabile. Temiamo che i redattori del disegno di legge abbiano dato per ovvia la cosa, senza neppure rendersi conto delle implicazioni connesse a tale scelta.

La formazione professionale del mediatore è stata poi oggetto di considerazione nel senso di prevederne una maggiore in termini di durata (oggi si tratta di 50 ore), con una componente obbligatoria per i profili giuridici dedicata ai non-giuristi (lett. l). Sotto questo secondo aspetto vale quanto detto sopra: l’esperto di mediazione raffina la sua fisionomia in esperto di diritto, in linea con la più risalente tradizione del mito del peritus peritorum.
Quanto alla durata, francamente oggi 50 ora ci risultano più che sufficienti per una formazione di base atta a mettere in grado i discenti a testare le loro capacità sul campo per nostra esperienza ne bastano una trentina). Ovvio che non si finisce mai di imparare e che quindi, dopo tale formazione di base occorre esser affiancati nei primi casi da mediatori esperti. Il parallelo della scuola-guida dà una buona idea. Niente di tutto ciò, nel disegno di legge: l’esperienza demenziale dei 20 tirocini annuali ad eterno (che per inciso ha di fatto ha contribuito, per ragioni sulle quali ora non ci soffermiamo, a far espellere i non-avvocati dalle legioni iniziali di mediatori), pare non abbia prodotto alcuna riflessione utile ad una razionale progettazione del percorso formativo. Tutto si risolve in un aumento del numero delle ore iniziali. Anche qui è francamente da chiedersi se i redattori del disegno di legge abbiano mai sentito alcun esperto del settore, e se sì, chi). Piuttosto, temiamo, la previsione è banalmente dovuta all’idea del mediatore come esperto della materia: ovvio che per un profilo del genere, anche 100, 150 o anche 200 ore sarebbero poche).

DdL 3289 in discussione alla Camera