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per la gestione e mediazione delle controversie e dei conflitti civili e commerciali

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23-6-16

Sempre in tema di avvocati

Marco Marinaro ha recentemente fatto il punto - v blog di ADR Center (MONDO ADR) pubblicato anche fra le news di Quadra - sui requisiti di formazione richiesti ai mediatori che siano anche avvocati iscritti ad un albo.

La questione è nata - si ricorderà - a seguito dal fatto che il c.d. decreto del fare (estate 2013), quando il governo Letta, per reintrodurre l'obbligatorietà della mediazione (o meglio del solo primo incontro informativo), ha dovuto presumibilmente pagar dazio al CNF ed attribuire agli avvocati, iscritti ad albi, il titolo di "mediatori di diritto".

Cosa significasse non è stato esplicitato (salvo rinviare, in tema di formazione, al codice deontologico forense), ma il senso a me è all'epoca parso chiaro: gli avvocati dovevano essere esentati da tutta una serie di considerazioni che valevano per i comuni mortali ed il livello e qualità della formazione doveva essere gestito all'interno della 'ditta'. Il retropensiero, in altre parole, era: 'gli avvocati già sanno di diritto e non possono essere equiparati a chi parte da zero o quasi'; il che non farebbe (probabilmente) un grinza se l'attività del mediatore consistesse nel sapere di diritto. Ma così non è, a meno che la mediazione non sia intesa come pratica esclusivamente valutativa (ed il dubbio che, per il CNF ed altri, sia così, è lungi dall'esser infondato).

Conseguentemente il TAR Lazio (sent 1351 del gennaio 2015) ha annullato una disposizione del d.m. 180/2010 che sottoponeva gli avvocati al regime comune (corso base di 50 h. almeno, seguìto poi da un aggiornamento di 18 h. e 20 tirocini al biennio). Nel marzo del 2014, il CNF aveva nel frattempo diramato una circolare che fissava i requisiti minimi della formazione per avvocati: minimo 15 ore di corso base (invece delle 50 sopra citate) e partecipazione a 2 procedure, e 8 h di aggiornamento nel biennio (rispetto alle 18 ore standard con 20 tirocini).

Con la decisione del Consiglio di Stato (sent. 5230 del novembre 2015) il pendolo è andato in altro senso: gli avvocati debbono fare formazione come tutti gli altri. Ad oggi, il CNF insiste (nota del  Commissione ADR del CNF del 6 giugno 2016) su quanto già indicato nella circolare del marzo 2014, ed il Ministero tace. Stiamo a vedere.

Nel frattempo, due idee personali?

1) La pretesa di distinguere fra avvocati e non-avvocati è altamente criticabile (a meno che, ripeto, non si presupponga che l'intervento del mediatore debba realizzarsi in un'ottica esclusivamente valutativa, il che chiamente non è).

2) L'attuale sistema di formazione ordinaria è parimenti criticabile: la fomazione iniziale minima richiesta è arbitraria (perché 50 ore e non 20 o 100?) e eccessiva nella richiesta di tirocini (perché 20 e perché per tutta la vita del mediatore?).

3) è ovvio che assicurare all'utenza un alto livello di qualità dei mediatori è estremamente importante; ma il punto è: 'come ottenere questo risultato?' In Italia c'è da sempre la tendenza ad affidarsi sia all'esistenza di 'titoli' sia a controlli burocreatici, dimenticando il giudizio del mercato. Anche per la mediazione è così, oggi: titoli (esser laureato, esser professore, esser avvocato) e controllo ministeriale. Nessuna delle due leve alla riprova dei fatti ha mostrato di funzionare (corsi fatti con i piedi o inesistenti, mediatori che non sanno neppure cosa fanno, ...). Insistere è diabolico.

Modesta proposta: liberalizziamo del tutto il mestiere di mediatore e lasciamo che il pubblico selezioni i mediatori che ritiene capaci. Certo occorre metter in grado l'utenza di fare una tale scelta: gli organismi dovrebbero pubblicizzare i criteri che adottano per assicurare la qualità dei propri mediatori e le barriere all'ingresso (se ne hanno) per il loro arruolamento, come pure dovrebbero esser facilmente accessibili i loro percorsi formativi. Nell'epoca di internet non dovrebbe esser gran problema.