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12 novembre 2016

PEGGIO IL RIMEDIO DELLA MALATTIA - Il nuovo disegno di legge in materia di responsabilità medico-sanitaria

A gennaio 2016 la Camera ha licenziato il testo di un disegno di legge in tema di responsabilità medico-sanitaria (C1769, rel. Gelli). Il testo ora è al Senato (con il n. 2224) e la Commissione Igiene e Sanità (relatore Amedeo Bianco, PD) ne ha in questi giorni completato l’esame in sede referente e ha pubblicato i suoi risultati. Essendo state fatte modifiche rispetto al testo della Camera, il disegno – se approvato dal Senato seguendo le indicazioni della Commissione - tornerà alla Camera in seconda lettura.
L’intento della nuova normative è quello di stabilire dei criteri che diano maggior affidabilità e prevedibilità nella identificazione delle ipotesi di medical malpractice, ponendo un freno alla crescente tendenza ad un atteggiamento iperprotettivo dei medici e degli altri operatori. Qui interessa in particolare quanto previsto agli art. 8 e 15 in tema di strumenti ADR.
L’art. 8 stabilisce che chi intende avviare una causa civile per danni deve preliminarmente esperire (non più una mediazione, ma) una “consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite” (CTP). Si tratta dell’istituto previsto dall’art. 696-bis del codice di procedura civile, ideato per anticipare la tipica consulenza tecnica che normalmente viene fatta in corso di causa e così fornire alle parti gli elementi per valutare se proseguire o meno. Il consulente incaricato dal giudice, oltre a svolgere il suo lavoro da ‘esperto’, viene espressamente chiamato anche ad operare come mediatore (all’epoca il termine in voga era “conciliatore”). Una misura deflattiva generale introdotta nel 2006, che invero non ha trovato - pare (mancano vergognosamente infatti dati ufficiali!) - grande applicazione nei dieci anni di sua applicazione.
Dalla lettura del testo elaborato dalla Commissione del Senato appare evidente lo sforzo di contrastare la tendenza (per molti, un malvezzo) delle compagnie assicurative di sottrarsi a procedure di liquidazione diverse dal negoziato diretto con gli interessati. È noto come in mediazione esse siano, con le banche, i più risoluti ‘convitati di pietra’. L’art. 8 prevede così che la partecipazione alla prospettata procedura ex 696-bis, “è obbligatoria per tutte le parti, comprese le compagnie di assicurazione” e che queste “hanno l’obbligo di formulare l’offerta di risarcimento del danno ovvero comunicare i motivi per cui ritengono di no formularla”.
Quanto ai rapporti fra mediazione e CTP, l’art. 8 prende poi una decisa risoluzione, fugando i dubbi che vi erano in subjecta materia: la seconda rimpiazza totalmente la prima quale procedura il cui esperimento è richiesto per superare la preclusione di procedibilità in giudizio. In parole povere, chi vuole agire in tribunale deve avviare una CTP e non più una mediazione. Sfuggono i motivi per i quali è stata fatta questa scelta apparentemente retro. Probabilmente è stato considerato poco utile insistere con la mediazione visti gli scarsi risultati ottenuti sinora oppure è prevalsa l’idea della necessaria ‘specializzazione’ della materia. Tale ultimo rilievo pare confermato da quanto disposto all’art. 15 in tema di requisiti che debbono avere i consulenti tecnici (vale adire quindi anche i nostri ‘conciliatori’). Non pare dimenticata ogni competenza in tema di gestione del conflitto: possono così essere nominati solo coloro che “siano in possesso di adeguate e comprovate competenze nell’ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi” ma non è chiaro se vale per essi quanto poco prima disposto, in via generale per coloro che sono chiamati “all’espletamento della consulenza tecnica e della perizia”: un “medico specializzato in medicina legale” o “specialisti che abbiamo specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento”. In altri termini, il rischio è che l’art. 15 limiti la scelta dei terzi neutrali incaricati della CTP solo ai soggetti che soddisfino entrambi i requisiti: siano medici o specialisti ED abbiano esperienza in conciliazione.


In conclusione, non occorre essere dei geni per capire che quella che i regolatori hanno in mente è una procedura ADR decisamente valutativa. Che possa generare qualche effetto utile, lo si vedrà; certo, sin d’ora si può dire che, l’aver rimpiazzato la mediazione con la CTP pare una mossa assai miope. Essa pare aver presupposto un’equiparazione che nella sostanza non c’è (salvo che nelle mediazioni appunto smaccatamente valutative).
La mediazione poggia concettualmente sul principio dell’autodeterminazione delle parti e questo si traduce, secondo la miglior scuola, nel fatto che le parti sono aiutate, nello loro confronto, dal mediatore, ma che questi non può sostituirsi a loro nella determinazione di quel che vogliono fare e nella formazione di nuove idee, sensibilità, sinanco aperture che possano emergere dal dialogo. Il mediatore che interpreta il suo ruolo come un esperto della materia può al massimo esprimere un proprio parere o speculare sul possibile esito della causa, e l’esperienza mostra quanto poco utile sia tutto ciò per le parti. In primo luogo, infatti, è illusorio pensare che le parti e soprattutto i loro consulenti siano così sprovveduti da non conoscere già quel che l’esperto terzo dovrebbe trasmettere loro come suo sapere ‘superiore’. In secondo luogo, difficilmente l’esperto può in pratica disporre di tutti i dati necessari per dare effettivamente un parere utile: nella CTP, considerati anche i tempi ristretti e l’impraticabilità di una produzione completa di materiale utile, difficilmente è possibile effettuare un esame dettagliato della situazione e effettuare così una compiuta valutazione di tutti elementi utili ad una valutazione finale corretta e esaustiva. In terzo luogo, inevitabilmente la presa di posizione del conciliatore a favore di una o l’altra posizione assunta dalla parti influenza negativamente la sua neutralità, quanto meno quella percepita. In definitiva, ogni intervento valutativo di un terzo chiamato a ‘conciliare’ se non del tutto inutile risulta, di norma, controproducente. Non a caso vi sono studiosi che hanno bollato quella che viene chiamata in gergo mediazione valutativa come un ossimoro.
Certo, la valutazione potrebbe generare transazioni ‘forzate’ facendo leva soprattutto su fattori – diciamo - di intimidazione, e pare che a questi pensi soprattutto il legislatore, se si tengono a mente le sanzioni previste, all’art. 8 citato, per il caso di mancata partecipazione o mancata formulazione da parte della compagnia assicurativa di una proposta soluttiva. Ma questa è cosa diversa dalla mediazione, è mero terrorismo.


La mediazione è altro e spiace che i redattori del disegno di legge paiano inconsapevoli delle potenzialità che sacrificano nel nome un’efficienza tutta da dimostrare.

 

In allegato: il testo del provvedimento e la nota presentata da ADR Aequitas a firma Dante Leonardi

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